Come un dente di leone by Attilio Facchini

Come un dente di leone by Attilio Facchini

autore:Attilio Facchini [Facchini, Attilio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2024-08-01T12:00:00+00:00


10

SONO SOLO SCATOLE CHE CADONO

Ho fatto un bel sospiro e ho premuto il campanello.

Il sole stava tramontando, i suoi raggi coloravano di rosso e arancione le cime delle montagne. Sembravano fiaccole che andavano accendendosi nella notte. Dal parco si udiva il cinguettio degli uccelli. Di tanto in tanto un cane abbaiava. Un gatto sonnecchiava sul muretto di fronte e all’abbaiare del cane ha sollevato la testa e drizzato le orecchie, per poi rimettersi placido a dormire. Io mi stringevo al mio zaino.

Un uccellino è volato fin sotto il portico, proprio sopra dove mi trovavo, e ha emesso un breve lamento, ripetendolo per una decina di volte. Sembrava dicesse: “Pia pia pia gra gra zia pia pia pia!”.

Mi ha aperto la madre di Alessandro.

«Ciao, Grazia!»

«Buongiorno, signora.»

«Vieni, Alessandro è di là.»

Mi ha accompagnato nel giardino sul retro dove Alessandro stava giocando a calcio con il padre. Anche se in effetti il termine “giocare” non è del tutto appropriato: Alessandro stava fermo davanti a una porta minuscola, il padre gli passava la palla e lui doveva semplicemente appoggiarla in rete, al che il padre esultava come un bambino.

Povero Alessandro, ho pensato, anche se un po’ mi divertiva l’idea che fosse costretto a fare quella specie di sceneggiata.

Quando mi ha visto ha spalancato gli occhi e il suo pallido viso si è sciolto in un’espressione buffa. Cancer, il labrador a cui aveva messo quel nome orribile, mi è venuto incontro e mi ha fatto le feste, leccandomi dappertutto.

«Buono, Cancer» ha detto il padre di Alessandro.

«Buonasera, signor Pollini, io sono Grazia, una compagna di scuola di suo figlio.»

«Piacere, Grazia. Chiamami solo Paolo.»

Il padre di Alessandro era tutto sudato e aveva il respiro affannato. È arrivata anche la signora Dora con la merenda. «Alessandro e Grazia adesso fanno merenda, mentre direi che tu hai bisogno di una bella doccia, vero, caro?» Ha posato il vassoio sul tavolino e ha preso il marito sotto braccio, quasi portandoselo via.

«D’accordo, d’accordo» ha sbuffato lui. Io e Alessandro ci siamo seduti per la merenda.

«Mi hai salvato dal gigantesco bisogno di mio padre di soffocarmi con il suo amore sconfinato» ha detto Alessandro dando una lunga sorsata al suo succo di frutta. «Te lo giuro, non ne potevo più.»

Ho addentato un biscotto con le gocce di cioccolata e ho detto ridendo: «Ma se te la cavavi benissimo».

«Prima mi piaceva giocare a calcio.»

«Intendi prima della malattia?»

Alessandro ha annuito. «Ero anche piuttosto bravo. Ho fatto dei provini con la Roma.»

«Davvero? Con la Roma?»

«Oh, yeah, baby. Volevano rivedermi. Cioè, avevo buone possibilità che mi prendessero per le giovanili. Ma poi…»

«Già.» Ho bevuto un po’ di succo di frutta. «Ma perché dici sempre “oh, yeah, baby”?»

Lui mi ha guardato, come per capire se valesse la pena di rivelarmi un segreto.

«Una volta… ero in ospedale…» Si è messo a ridere. «Tanto per cambiare, eh? Insomma, ero in ospedale e con me c’erano i miei genitori. Loro pensavano che io dormissi. Mia madre era abbastanza giù. Piangeva in silenzio per non svegliarmi. Allora vedo mio padre abbracciarla e dirle: “Ce la farà anche questa volta”.



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